Abstract (in italiano)
Il mancato adeguamento delle leggi elettorali regionali alla legge statale n. 20 del 2016 sulla parità di genere costituisce un vulnus degli artt. 3, 51, primo comma, 117, settimo comma, e 122, primo comma, della Costituzione.
Le regioni sono competenti a regolare il sistema di elezione del Presidente della Giunta e del Consiglio regionale (art. 122, primo comma, Cost.). Le regioni ordinarie devono farlo nel rispetto dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale. Le regioni speciali sono chiamate all’armonia con la Costituzione e al rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica.
L’articolo 117, settimo comma, della Costituzione affida alle regioni il compito di promuovere la parità di genere nell'accesso alle cariche elettive. Il legislatore statale ha ribadito questo vincolo nella legge che detta alle regioni ordinarie i principi da rispettare in materia elettorale (legge n. 165 del 2004).
Tale vincolo è stato successivamente integrato con la legge n. 20 del 2016 al fine di individuare le opzioni normative possibili in relazione alle diverse scelte operate dai sistemi elettorali regionali: equilibrio tra i generi nelle candidature delle medesime liste e doppia preferenza di genere; alternanza tra i generi nelle candidature delle liste bloccate ed equilibrio di genere nelle candidature presentate con il medesimo simbolo nei collegi uninominali. Si tratta di soluzioni predefinite particolarmente stringenti, che trovano fondamento sia nell’esigenza di garantire uniformità nazionale alle azioni positive, sia nella competenza statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili (art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione).
A fronte di questo quadro normativo statale - costituzionale e legislativo - quantomai chiaro e coerente, stupisce l’ostinazione di alcune regioni che ancora non hanno adeguato la propria legislazione ai principi enunciati, al fine di dare piena attuazione al principio di eguaglianza e di realizzare in questo modo una democrazia paritaria a livello territoriale. Le reazioni possibili di fronte all’inerzia regionale sono diverse. In primo luogo, i risultati delle elezioni regionali che si svolgessero ignorando le prescrizioni statali in materia di pari opportunità potrebbero essere impugnati di fronte all’autorità giudiziaria e nell’ambito di tali giudizi potrebbe essere sollevata questione di legittimità costituzionale delle leggi regionali di fronte alla Corte costituzionale, per omesso adeguamento alla legislazione statale di principio, nonché agli obblighi di cui agli artt. 3, 51, primo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione.
In secondo luogo, si potrebbe ipotizzare l’intervento sostitutivo del governo ex art. 120, secondo comma, Cost. Si tratta di un potere che la Costituzione ha riconosciuto e, benché sia aperto il dibattito in dottrina in ordine alla natura (normativa o amministrativa) e all’ambito di applicazione, non si può escludere che vi sia spazio per un ricorso ad esso a tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, tra i quali rientra l’uguaglianza di genere. Le regioni ordinarie che devono ancora adeguarsi ai principi della parità di genere posti dalla legge n. 20 del 2016 sono: Calabria, Liguria, Piemonte e Puglia. Fra queste, la Calabria e il Piemonte hanno rinnovato i propri organi nel 2019, in difetto di adeguamento, mentre la Liguria e la Puglia andranno al voto nel 2020.